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Tutto sullo smaltimento e il trattamento dei rifiuti solidi a Giugliano in Campania

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Riciclo rifiuti elettronici

Come si riciclano i rifiuti elettronici?

Qualche tempo fa abbiamo visto come i Rifiuti Elettronici si possano rivelare delle vere e proprie carte vincenti, nelle mani delle aziende, per riciclare, ricondizionare, risparmiare e, contestualmente, anche agire nella legalità e nell’interesse dell’ambiente.

Per rifiuti elettronici (ed elettrici) si intende ciò che rimane di apparecchiature che sono state funzionanti tramite correnti elettriche o campi elettromagnetici: si definiscono tali, quindi, gli elettrodomestici delle nostre case, i nostri smartphone, alcuni giocattoli per bambini ma anche distributori automatici, radio, telecomandi e tantissimo altro. La sigla che li indica è RAEE (Rifiuti di Apparecchi Elettrici ed Elettronici).
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    Come vanno riciclati i RAEE?


    Riciclare i rifiuti elettronici correttamente è importantissimo poiché, come abbiamo avuto modo di scoprire, in tantissimi casi si tratta di materiale ancora funzionante che va semplicemente riparato o ricondizionato; inoltre, al loro interno, possono contenere delle sostanze che si rivelano molto dannose per l’ambiente, soprattutto quando finiscono dispersi sul territorio o in discarica o, comunque, non smaltiti correttamente.


    Ma come procedere?


    In effetti, non esistono dei bidoni appositi per questo tipo di rifiuti, come avviene per la raccolta differenziata.


    E se può sembrare tutto un po’ difficoltoso per piccole apparecchiature, di certo con quelle grandi, ingombranti o di grossi volumi le cose si fanno, paradossalmente, più semplici.


    Esiste, infatti, una normativa (Decreto 65/2010 del Ministero dell’Ambiente) per lo smaltimento corretto, da parte dei cittadini, degli apparecchi elettrici fuori uso e degli elettrodomestici più ingombranti: il sistema “uno contro uno”. In sostanza, al momento dell’acquisto di un nuovo elettrodomestico si può chiedere il ritiro gratuito dell’usato, che verrà, poi, smaltito dal rivenditore nel modo corretto, pena pesanti sanzioni e provvedimenti a livello anche penale. In teoria, il servizio sarebbe rivolto anche ai rifiuti meno ingombranti, ma sono tanti i piccoli dispositivi che finiscono in discarica, purtroppo, talvolta anche ancora funzionanti. Per cui, oltre allo spreco dovuto al non riciclo, c’è quello economico, poichè vengono sperperate potenziali risorse.


    Naturalmente, non solo i cittadini si ritrovano a smaltire RAEE particolarmente voluminosi o ingombranti: anche molte aziende accumulano grandi quantità di rifiuti di questo tipo, dovendo organizzarsi tramite operatori specializzati e servizi appositi per il ritiro. Parliamo, però, sempre di materiali che, potenzialmente, possono costituire un’importante risorsa economica, per cui non solo il ritiro è gratuito ma, in tanti casi, anche fruttuoso e pagato!

Sacchetti per rifiuti organici

Come riconoscere i sacchetti giusti per l’organico

Da quando la legge ha permesso soltanto l’utilizzo di sacchetti biodegradabili da parte delle attività commerciali, la vita di molti italiani è cambiata perché sono cominciate a variare le abitudini: senza contare che molti di questi sacchetti, che non sono nemmeno gratuiti, sono così fragili e sottili che rischiano di rompersi ad ogni passo, se riempiti totalmente, con l’inconveniente di essere costretti a comprarne di più.
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    Un vantaggio, però, che va tutto per l’ambiente, che si ritrova (o, perlomeno, così dovrebbe essere, fatta eccezione per quei casi in cui sono stati venduti sacchetti illegali e non realmente biodegradabili alle grandi aziende) un po’ più pulito, meno inquinato e con meno materiali-veleno da smaltire.


    A questo punto, però, è doveroso fare una distinzione: ciò che viene definito biodegradabile non è, sempre, anche compostabile.


    Da qui la difficoltà di capire, per molti cittadini, quali siano i sacchetti giusti da utilizzare per la raccolta differenziata dell’organico. Cerchiamo di fare chiarezza.


    Biodegradabile e compostabile: che differenza c’è?


    Sono biodegradabili le sostanze organiche (e alcuni composti sintetici) che possono essere decomposti in sostanze più semplici dalla natura (batteri), anche in un tempo molto lungo. Tutto ciò che non si biodegrada, quindi, non viene assorbito, non diventa un tutt’uno col substrato per cui resta identico, nel tempo, contribuendo all’inquinamento.


    Un organico che si trasformi velocemente in compost, invece, può essere definito, appunto, compostabile. Si tratta, in sostanza, di una degradazione aerobica (cioè che avviene all’aria, attraverso i batteri dell’ossigeno) che genera fertilizzante che può essere utilizzato, ad esempio, nell’agricoltura.


    Si intuisce, quindi, quanto sia importante, per i materiali organici, essere sistemati in sacchetti che siano compostabili e non semplicemente biodegradabili!


    A questo punto, non ci resta che imparare a capire come distinguere i sacchetti biodegradabili da quelli che si rivelino anche compostabili.


    Come distinguere i sacchetti per l’organico


    Per capire se si sta svolgendo al meglio la raccolta differenziata vale la pena perdere due minuti per distinguere i sacchetti semplicemente biodegradabili da quelli compostabili, idonei per l’organico e la sostenibilità: questa seconda tipologia, in effetti, può essere “intercettata” cercando la dicitura stampata “sacchetto conforme alla normativa UNI EN 13432-2002” o qualcosa di simile che richiami questa disposizione di legge. In ogni caso, si tratta di sacchetti perfettamente idonei anche per la raccolta dell’indifferenziato.


    Tra l’altro, si ricorda che una cattiva gestione dei rifiuti può comportare multe dai 25 ai 150 euro.

Rifiuti urbani

Quali sono le città del mondo che producono più rifiuti?

Noi italiani stiamo ancora imparando da realtà “straniere” come trattare i rifiuti, come educare la popolazione ad un saggio riciclo e alla raccolta differenziata e come creare la giusta rete d’informazione, in modo che raggiunga la maggior parte di persone possibili, di qualunque fascia d’età e ceto sociale.

Tuttavia, siamo ben lontani dal comparire nella classifica dei Paesi che inquinano di più e che producono più rifiuti, se non altro per l’estensione territoriale della nostra nazione e per il suo numero di abitanti che, rispetto a realtà come New York o Tokyo, sono di gran lunga inferiori.
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    New York e gli USA: un disastro


    In effetti, non è di molto tempo fa la diatriba tra la rivista Proceedings of the National Academy of Sciences e il Guardian sulla questione che potrebbe essere proprio la Grande Mela la città più “sprecona” al mondo. Si è calcolato, infatti, che a livello di consumi elettrici ed idrici siamo nell’ordine di decine di milioni di tonnellate per anno ma, a paragone, anche città come Houston, Atlanta, Tampa o Phoenix hanno un “corredo ambientale” di cui andar poco fieri.


    Insomma, tutti gli USA ne escono male: secondo le stime, restano i maggiori produttori di spazzatura in assoluto ed è proprio uno studio, condotto nel 2010 da Nalgene, compagnia produttrice di borracce, che ha svelato la Top 5 delle città con maggiori sprechi al mondo, valutando anche l’attitudine ad usare i mezzi pubblici, al risparmio sull’elettricità e alla raccolta differenziata; i nomi? Houston, Cleveland, Atlanta, Tampa e Indianapolis, con New York in fondo alla classifica, prima di San Francisco e Seattle.


    Città del Messico


    Oltrepassando il confine statunitense si ritrova un’altra realtà metropolitana da 12 milioni di tonnellate all’anno di rifiuti solidi, con venti milioni di persone che la popolano: Città del Messico. Una situazione peggiorata anche dal fatto che nel 2011 è stata chiusa la sua principale discarica, agevolando, così, la presenza di sporcizia e rifiuti in strada, in assenza anche di una politica mirata ad una risoluzione. Le uniche iniziative di riciclaggio che sono state lanciate sono insufficienti, ma pur sempre un primo passo: ai residenti, infatti, è permesso scambiare i rifiuti con dei voucher per comprare frutta e verdura. Tuttavia la situazione resta critica.


    Cina: discarica dell’Occidente


    La situazione in Cina, invece, è ancora più problematica.


    L’alto tasso di popolazione e l’assenza totale di una qualunque politica di riciclo sono stati affrontati, alla meno peggio, con la costruzione di alcuni inceneritori che hanno contribuito ulteriormente a inquinare l’ambiente, già troppo devastato. Situazione identica, per esempio, a Mumbai, dove Bloolberg ha scritto “stava bruciando sotto la propria montagna di immondizia” o al Cairo, dove i rifiuti sono stati visti diventare… pasto per maiali.


    Tra l’altro, per moltissimi anni la Cina è stata la discarica dell’Occidente, partecipando al business dell’immondizia “raccogliendo” tonnellate e tonnellate di rifiuti da Europa, Giappone, Hong Kong e, soprattutto, Stati Uniti che, pagando, si sono liberati dell’impegno di uno smaltimento corretto.


    Un danno doppio perchè nei villaggi impegnati a smaltire rifiuti di tutti i tipi, come quelli elettronici, ad esempio, i prodotti venivano fusi senza badare ad eventuali veleni emessi, a discapito dell’ambiente e della propria salute. Una situazione che ha finito per degenerare e che una campagna nata a Pechino, “Green Fence“, sta cercando di arginare.


    Tokyo: un buon esempio


    Tra le grandi metropoli che hanno saputo districarsi al meglio nella faccenda c’è sicuramente Tokyo.


    Con oltre il 50% dei residenti in più rispetto a Città del Messico, infatti, produce pochissima immondizia grazie a dei programmi di riciclo molto intelligenti.


    Un esempio che dovrebbe essere da ispirazione per tutti.

Etichette intelligenti ecologia

Etichette intelligenti nel futuro dell’ecologia

Quando parliamo di ecologia, riciclo, raccolta differenziata e corretto smaltimento dei rifiuti, includiamo una serie di altri aspetti che, a catena, si collegano a questi direttamente dal nostro quotidiano. Gran parte del nostro stile di vita, infatti, si riflette anche negli sprechi e nella quantità di rifiuti che produciamo.

Tra tanti aspetti da considerare, indubbiamente, c’è l’utilizzo che facciamo dei cibi che portiamo a casa ogni volta che facciamo la spesa, poiché andrebbero evitati sprechi e accumuli di rifiuti ma anche consumi scorretti, nocivi e dannosi, di materiali scaduti o degradati.

Proprio per risolvere la questione alla radice, gli studiosi stanno pensando di ricorrere, nel prossimo futuro, ad etichette intelligenti, “parlanti”, che riescano a fornire dettagli in tempo reale sui nostri acquisti.
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    Il progetto


    Silvana Andreescu, professoressa di chimica e chimica biomolecolare alla Clarkson University, ha ricevuto un importante finanziamento dalla National Science Foundation per il suo laboratorio ed è al lavoro.

    È stato, infatti, già realizzato una sorta di sensore cartaceo portatile, progettato in un’ottica low cost perché sia accessibile a tutti. Si tratta di “una versatile piattaforma di rilevamento che incorpora tutti i reagenti necessari per la rilevazione in un pezzo di carta. Allo stesso tempo, è adattabile a diversi obiettivi, inclusi i contaminanti alimentari, gli antiossidanti e i radicali liberi che indicano il deterioramento“.


    Il funzionamento è reso molto semplice ed intuitivo per i consumatori: “Usiamo particelle stabili e inorganiche. Quando interagiscono con le sostanze che vogliamo rilevare, cambiano colore e l’intensità del cambiamento ci dice quanto è concentrato l’analita“.


    Questo sensore, tra l’altro, non si rivelerà particolarmente utile solo nel settore alimentare, ma anche, ad esempio, per esplorare in tempo reale luoghi remoti o testare cosmetici, senza contare che sarà in grado di salvare vite e di salvaguardare la salute, visto che, attualmente, può già individuare l’Ocratossina A, una micotossina che si può trovare in tantissimi cibi, e si sta studiando come fargli riconoscere salmonella ed Escherichia coli.


    Verifiche in tempo reale


    Ma non è tutto. Attraverso dei veri e propri cambi di colore sarà possibile segnalare all’esterno il deterioramento o la scadenza di un prodotto, di intercettare antiossidanti in tè e vino, di fornire, in sostanza informazioni in tempo reale su tutti i prodotti che conserviamo nella credenza e nell’armadietto del bagno, donando al consumatore tranquillità e consapevolezza su quello che consuma ed utilizza giorno per giorno.


    Una vera rivoluzione del settore che farebbe bene all’economia, all’ambiente e alla salute.

Smaltimento dei rifiuti all'estero

Smaltimento rifiuti: dalla Germania alcune idee

La gestione dei rifiuti, in Germania, non avviene in maniere molto differenti rispetto all’Italia, anche se ci sono, innegabilmente, degli incentivi che rendono il tutto più efficace con il minimo sforzo.

Innanzitutto, la tendenza generale è quella di evitare, quanto più possibile, di accumulare rifiuti.

Nell’ottica dell’ambiente, ovviamente, questo ha una validità facile da capire, ma qual è l’incentivo che permette ai cittadini tedeschi di rispettare ancora di più questo che, più che una regola, è un consiglio?
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    Per rispondere a questa domanda dobbiamo esaminare la diversa strutturazione delle tasse sull’immondizia.


    Prendendo l’esempio di Monaco di Baviera, i rifiuti secchi, che vengono bruciati nel termovalorizzatore (per poi, in ogni caso, cercare di riciclare e/o creare energia e calore) vengono prelevati settimanalmente dai bidoni posti fuori le abitazioni. A seconda della grandezza del bidone si alza il compenso annuale da pagare e non vengono raccolti i rifiuti che si trovano oltre il bordo o accanto ai contenitori, per terra. In questo modo si assicura un trattamento equo ed identico per tutti i cittadini, senza bypassare “furberie” di sorta.


    In sostanza, meno rifiuti si producono, meno si paga… un sistema che incentiverebbe, sicuramente, anche gli italiani.


    Ecco perchè la via del riciclo è la preferita!


    Ma c’è di più: i consumatori pagano automaticamente una cauzione quando acquistano bottiglie di vetro o di plastica PET multiuso (che possono essere lavate chimicamente e riutilizzate molto meglio della plastica usa-e-getta, che va “fusa”). Com’è facile intuire, questa viene riacquisita alla consegna del vuoto, presso lo stesso punto d’acquisto, in modo che tutti (o quasi) evitino di accumulare altri rifiuti, dovendo pagare più tasse e, ovviamente, perdendo anche, così, i costi della cauzione! Il materiale non restituito (che, in genere, è molto poco), va a riempire i bidoni del vetro o del secco, se si parla di plastica.


    E tutto il resto?


    In Germania, la tassa è solo sul secco: i produttori “caricano” il prezzo di smaltimento direttamente sulla merce, per cui non si paga, ovviamente, due volte per la stessa gestione del rifiuto. Inoltre ci sono delle zone per portare rifiuti speciali e di altro tipo (pile, rifiuti elettronici etc) equivalenti alle nostre isole ecologiche e tutto quello che non può essere recuperato o riciclato va a finire nell’inceneritore, dove viene bruciato per diventare energia e calore; nulla viene sprecato, insomma, in piena ottica Zero Waste.


    Per quanto riguarda l’umido il discorso è ancora diverso.


    Sembra, infatti, che parte dei rifiuti umidi (quando non riciclati in compostiera da parte di chi, ad esempio, ha un giardino o crea concime naturale) venga gettata dai cittadini nel secco… non seguendo le regole alla perfezione. La cosa, però, non crea un disturbo ma, anzi, un vantaggio per gli operatori degli inceneritori, poiché le altissime temperature che si raggiungono, a causa della plastica e di altri materiali del genere, si abbassa un po’ proprio per la presenza di queste biomasse, facendo un “favore” alle griglie che necessiteranno, così, di meno manutenzione.


    Una sorta di compromesso, insomma, che fa bene a tutti!

Inceneritore

Che cos’è un inceneritore?

In Italia sono attualmente 56 gli inceneritori, o termovalorizzatori, installati sul suolo, con una incidenza maggiore al Nord (solo in Lombardia ne ritroviamo 13); per quanto riguarda la nostra Campania, nel 2009 è stato inaugurato quello di Acerra. In verità, però, i dati ufficiali dicono che diversi di questi impianti sono inattivi (sospesi o chiusi) e, alcuni, persino in smantellamento.

Dopo un’epoca in cui il loro utilizzo sembrava la soluzione per uno smaltimento rifiuti che fosse quanto più “pulito” ed economico, infatti, ci si è resi conto che, a conti fatti, il riciclo e la raccolta differenziata sono di gran lunga strumenti più potenti e, alla fine del ciclo, anche più economici.
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    In effetti, la caratteristica principale dei termovalorizzatori è proprio il fatto che, bruciando (letteralmente) i rifiuti si riesce a creare energia elettrica; una sorta di pala eolica che, invece di muoversi col vento, funziona a “spazzatura”. Ma come avviene?


    Guardandone il funzionamento nello specifico, si constata che il forno all’interno del quale vengono bruciati i rifiuti, a volte anche con l’ausilio di gas metano, per innalzare la temperatura di combustione, genera un calore che porta a vaporizzare l’acqua in una caldaia posta a valle: questo vapore aziona una turbina che trasforma l’energia termica in energia elettrica, da utilizzare e ridistribuire, poi, come si desidera; famoso il caso di una città del Nord Italia dove i cittadini ricevevano sconti in bolletta, ad esempio.


    Quello che si è scoperto, però, con il diffondersi di questi impianti, è che la quantità di energia che si ricava è inferiore, ovviamente, al rendimento di qualsiasi centrale elettrica tradizionale, senza contare che l’intero processo di incenerimento (dalla raccolta allo smaltimento delle ceneri di scarto) consuma molta più energia di quanta ne occorre con altre politiche di smaltimento-non-smaltimento (riuso, riciclo, raccolta differenziata).


    In effetti, e questa è una cosa su cui si riflette sempre troppo poco, una volta inceneriti i rifiuti, si crea altro materiale da smaltire, appunto le ceneri, più una parte costituita da microparticelle volatili che si mescolano all’ambiente, all’aria e all’atmosfera, restando comunque un pericolo per la salute e per l’ambiente. Si parla, infatti, di una proporzione 30 a 70: in pratica, le ceneri di scarto rappresentano, in peso, il 30% del rifiuto bruciato; un dato enorme se si pensa alla quantità di rifiuti che si creano ogni giorno/mese/anno!


    Proprio per questo c’è un altro passaggio da analizzare, che descrive l’intero funzionamento dei termovalorizzatori: il trattamento delle ceneri e dei fumi di combustione.


    Dalle ceneri, innanzitutto, vengono recuperati metalli da riciclare nelle fonderie, più materiali inerti utili per l’edilizia; i fumi, invece, attraverso dei passaggi chimici e fisici, vengono depurati e raffreddati e poi immessi in atmosfera attraverso un camino, alto oltre 100 metri. Il problema su cui gli ambientalisti pongono l’attenzione è quello relativo al fatto che molte nanoparticelle sono così piccole da non poter essere filtrate o esaminate, costituendo quelle che vengono normalmente definite, poi, le emissioni dell’inceneritore.


    Tutto questo ha creato una presa di coscienza collettiva che ha generato una vera e propria “crisi” del settore: in Olanda, ad esempio, si prevede una progressiva chiusura degli inceneritori, favorendo una educazione ambientale rivolta alla prevenzione e alla raccolta differenziata. In altri Paesi, come Finlandia, Grecia e Irlanda, i termovalorizzatori non esistono nemmeno.


    Se si guarda, però, al nuovo impianto di Acerra, si vedrà come, grazie ad un doppio sistema di monitoraggio, attivo h24, e all’utilizzo di filtri specifici, le emissioni sono, e di molto, al di sotto dei limiti fissati dalla normativa europea e dall’autorizzazione integrata ambientale.


    D’altro canto, sebbene la raccolta differenziata sia fondamentale ed utilissima per uno smaltimento rifiuti più saggio e per evitare sprechi, non tutti i materiali di scarto sono riciclabili, per cui l’idea del termovalorizzatore, che trasformi in energia, almeno in parte, questi materiali una volta bruciati, non suona una cattiva idea… anche se le realtà dei Paesi che ne sono privi, forse, avrebbero tanto da insegnarci.


    Tuttavia, come specificato nel video che vi proponiamo di seguito, il nostro termovalorizzatore di Acerra, ad esempio, solo nel 2014 ha evitato l’emissione in atmosfera di 146mila milioni di tonnellate di anidride carbonica e il consumo di 111mila tonnellate di petrolio per l’utilizzo di combustibili fossili, tutto grazie all’energia che ha prodotto con la combustione dei rifiuti.


    La speranza è che, in Paesi come il nostro, dove i termovalorizzatori hanno ancora un ruolo e un posto ben preciso nella politica di smaltimento, questi impianti sostituiscano integralmente le discariche, fermo restando un totale impegno verso una sempre più ottima raccolta differenziata: purtroppo ci sono ancora molte regioni dove l’educazione ambientale è così scarsa da dare dati scoraggianti sul rispetto dell’ambiente e sullo smaltimento rifiuti regolamentare.


    Trovare la giusta via di mezzo tra le due realtà, dicendo addio alle discariche, se non altro, potrebbe essere un passo intermedio verso un futuro ancora migliore, magari puntando anche ad un utilizzo sempre minore degli stessi termovalorizzatori.

Raccolta differenziata

Raccolta differenziata porta a porta: come farla?

La Raccolta Differenziata sta cambiando, alla radice, tantissime nostre abitudini. L’augurio è che riesca anche ad andare incontro alle esigenze dell’ambiente e, perchè no, anche di noi cittadini, ricavandone, nel tempo, qualche risparmio in bolletta (come sta accadendo per molte realtà europee, dove i rifiuti vengono utilizzati per creare nuova energia da ripartire, poi, nelle abitazioni civili).
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    Resta, però, da fronteggiare un grande problema di base: per molti cittadini, soprattutto di età avanzata, è ancora complicato gestire la ripartizione dei rifiuti, senza contare che può diventare particolarmente difficoltoso rilasciare i vari sacchetti nei contenitori e nelle campane adibite, disseminate lungo il territorio cittadino.


    Ecco perchè, ove possibile effettuarla, la Raccolta Differenziata Porta a Porta si è verificato essere una soluzione perfetta, per ottenere il massimo della differenziazione con il minimo sforzo dei cittadini.


    Vediamo quali sono i passi fondamentali per realizzarla al meglio.


    Il servizio porta a porta che favorisce i cittadini


    Si è dimostrato che, a fronte della semplice Raccolta Differenziata, quella Porta a Porta garantisce un forte incremento del numero di materiali riciclati (si parla anche del 75-80%).


    Inoltre, questa tipologia di conferimento responsabilizza i cittadini, mettendoli dinanzi al fatto compiuto (e, altrimenti, a rischio sanzioni), andando anche incontro alla questione del decoro urbano, eliminando gli antiestetici cassonetti da marciapiedi e strade.


    Si tratta, forse, di una soluzione più costosa e meno agevole, da un lato, per i Comuni, ma anche più vantaggiosa poichè garantisce un rispetto delle norme più alto, da parte dei cittadini, e quindi contromisure successive alla raccolta molto inferiori da prendere; tutto sommato, un investimento che si può rivelare anche guadagno.


    Nonostante ciò, questo tipo di raccolta, per il momento, si ritrova più che altro in paesini e piccoli centri e non è ancora molto attuata tra le grandi città.


    Il contributo dei cittadini


    La riuscita della Raccolta Differenziata Porta a Porta, insomma, è dovuta, in gran parte, alla collaborazione dei cittadini, che sono più invogliati a contribuire in maniera corretta.


    Ma come viene regolata, in genere?


    Il Comune predispone un calendario per il conferimento a cui ogni cittadino deve attenersi; le attività commerciali possono, però, concordare delle specifiche differenti, in vista di esigenze particolari.


    Anche i sacchetti vengono forniti ai cittadini dal personale adibito, differenziati a seconda del rifiuto che dovranno contenere; l’umido prevede sempre il bidoncino apposito. I sacchetti vanno depositati fuori l’abitazione, o nel luogo indicato dagli incaricati, negli orari stabiliti dal calendario del Comune ed è bene controllare che siano sempre ben chiusi (per evitare dispersioni nell’ambiente) e intatti.


    Un conferimento non corretto può anche trasformarsi, per il diretto interessato, in una sanzione, impartibile e valutabile dal personale incaricato della raccolta.


    Tutto questo, quindi, non solo agevola il conferimento da parte dei singoli, anche quelli più attempati o con qualche acciacco dovuto all’età che frena i loro spostamenti, ma lo regolamenta anche, sulla base del rischio di sanzioni e multe che, come sempre, nessun cittadino ha il sogno di pagare!

Gestione dei rifiuti nei paesi

Tortorella, miglior comune italiano nella raccolta rifiuti

È salernitano il come italiano decretato come migliore per la gestione dei rifiuti.

Si tratta di Tortorella, piccolo paesino cilentano di poco più di 500 abitanti e poco meno di 50 chilometri quadrati di ampiezza, al confine estremo della Campania, verso la Basilicata; decisamente ristretto, quindi, il territorio da gestire, con un evidente vantaggio nel tenere tutto sotto controllo, ottenendo risultati importanti in poco tempo; questo va detto.
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    Va altresì detto, però, che in Italia di paesini piccoli come questo ce ne sono tanti (ad esempio, al terzo posto della stessa classifica si ritrova Valda, nel Trentino Alto Adige, con poco più di 200 abitanti all’attivo eppure risultati inferiori rispetto al comune cilentano), per cui il merito resta, perché premio del grande impegno dei cittadini.


    Secondo Virgilio.it, infatti, la percentuale di raccolta differenziata, in questo comune, è del 91,4%; in sostanza, praticamente quasi tutti i rifiuti vengono differenziati, restando alla larga dalle discariche e dall’inquinamento: i materiali di scarto vengono considerati risorse e non, semplicemente, qualcosa di cui liberarsi nel minor tempo possibile e a qualunque costo.


    Altra stima proviene da Legambiente, questa volta legata alla produzione pro capite annua di rifiuto differenziato (somma del secco residuo più rifiuti ingombranti non recuperati): si parla di soli 11,8 Kg che, diluiti nel quotidiano, sono solo 30 grammi al giorno. Insomma, di rifiuti residui non recuperati se ne trovano ben pochi!


    Ma non finisce qui: c’è un altro comune salernitano, al secondo posto, tra quelli da premiare in questo senso. Si tratta di Sassano, con un riciclo, in percentuale, ancora più alto (94,6%), ma penalizzato da un secco residuo pro-capite più elevato (17,3 Kg).


    Per quanto riguarda i capoluoghi di provincia italiani, invece, e, quindi, le grandi città, tra le prime 500 compaiono solo Belluno  (382° posto) e Treviso, (298° posto).


    Questo fa capire quanto sia difficile gestire grandi comunità e grandi realtà metropolitane con molti abitanti e quanto ancora ha da imparare, quindi, l’Italia (ma soprattutto la sua gente) dal resto d’Europa, in campo smaltimento rifiuti.

Discariche non bonificate

La Commisione Europea denuncia l’Italia alla Corte UE per 44 discariche non bonificate

Rispetto a tante altre realtà mondiali, ma anche soltanto europee, l’Italia non si posiziona tra i primi posti per la trattazione e la gestione dei rifiuti, purtroppo.

Ad ogni modo, attraverso la raccolta differenziata si sta facendo un lavoro, per mirare a ridurre la quantità di rifiuti nelle discariche, non solo concreto ma anche educativo verso la popolazione di nuova e vecchia generazione.
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    Nonostante questo, però, ci vorrà del tempo prima che le discariche diminuiscano in numero ed in necessità, sul nostro territorio: l’unica cosa che si può fare, per il momento, è tenerle in regola e gestirle al meglio, per evitare danni all’ambiente e, di conseguenza, anche alla nostra salute.


    Direttiva per gli stati dell’Unione Europea


    Secondo la norma del diritto dell’Unione Europea, gli Stati membri sono tenuti a recuperare e smaltire i rifiuti, vietandone l’abbandono, lo scarico e lo smaltimento incontrollato.


    La direttiva sulle discariche, in particolare, stabilisce una regolamentazione ben precisa per proteggere la nostra salute e l’ambiente, dando rilevanza maggiore ad acque superficiali, acque freatiche, suolo ed atmosfera, coinvolgendo (e correggendo) gli eventuali effetti negativi della raccolta, del trasporto, del deposito, del trattamento e dello smaltimento dei rifiuti, cercando di agire, in positivo, durante l’intero ciclo di vita della discarica.

    Ad esempio, tra le varie forme di smaltimento dei rifiuti, l’interramento nel suolo della discarica, poiché è il metodo meno sostenibile da attuare, dovrebbe essere limitato al minimo assoluto se non addirittura evitato.


    L’Italia e i suoi rimandi


    In quanto Stato membro dell’UE, anche il nostro Paese deve attenersi, quindi, a queste regolamentazioni e norme; eppure, sono anni, ormai, che ha lasciato nell’incuria una situazione preoccupante per ben 44 discariche.


    Come tutti gli altri Stati membri, l’Italia era, infatti, tenuta a bonificare le discariche che avevano ottenuto un’autorizzazione o che erano già in funzione prima del 16 Luglio 2001, adeguandole alle nuove norme di sicurezza o chiudendole, entro 8 anni; parliamo quindi del 2009: quasi 10 anni fa!


    Sono stati ricevuti, nel tempo, diversi ammonimenti della Commissione, ma l’Italia ha “dimenticato” di agire in tal senso su 44 discariche non conformi (di cui solo 23 in Basilicata e, a seguire, 11 in Abruzzo, 2 in Campania, 3 in Friuli Venezia Giulia, 5 in Puglia).


    Alla luce di questa situazione, nel 2015 il nostro Paese aveva ricevuto anche un’esortazione a mettere in regola 50 siti potenzialmente pericolosi ma, nel Maggio di quest’anno, 44 discariche risultavano ancora non in regola.


    Passati ormai 8 anni dal termine ultimo, la Commissione ha deciso di deferire l’Italia alla Corte di giustizia dell’Unione Europea.


    Il rischio è quello di multe salatissime, che si aggiungerebbero a quelle che già vengono pagate, purtroppo, quotidianamente per altre motivazioni.

Tassa spazzatura

Tassa spazzatura 2017: novità, esenzioni, termini e modalità di pagamento

La Tassa sui Rifiuti, oggi TARI, fa parte delle tasse sulla casa e va pagata annualmente da tutti i cittadini italiani.

Per quest’anno 2017, purtroppo, le notizie non sono ottime poichè ci sono stati parecchi rincari, in alcuni Comuni addirittura del 50% rispetto al 2010 o 2011.
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    Come si calcola


    Ogni anno ciascun Comune italiano calcola la TARI in base a una quota fissa, generata sui metri quadri dell’immobile e il numero degli occupanti, e una quota variabile, rapportata alla quantità di rifiuto residuo conferito, comprensiva di un quantitativo minimo obbligatorio. Esistono però delle riduzioni e delle esenzioni che, come sempre, variano di Comune in Comune, che di seguito vi indichiamo, riassumendone gli aspetti generali; poi ognuno dovrà informarsi nello specifico per la propria zona di residenza.


    Famiglie economicamente disagiate;

    Case senza inquilini;

    Comuni che fanno la raccolta differenziata;

    Locali adibiti a negozi o uffici, soprattutto se i proprietari creano posti di lavoro con contratto a tempo indeterminato;

    Anziani;

    Inquilino/i con portatori di handicap con invalidità del 100%;

    Beni confiscati alla mafia ed utilizzati per motivi sociali;

    Coppie sposate con immobili grandi entro un certo perimetro, reddito che non superi una certa cifra ed età di uno dei coniugi di almeno 35 anni;

    Immobili occupati da enti religiosi;

    Nuclei familiari assistiti permanentemente dal Comune;

    Inquilini che hanno fatto la richiesta della compostiera e non necessitano, quindi, del ritiro dell’umido.

    In effetti i tipi di esenzione e di riduzione sono tantissimi e tutti differenti, a seconda della politica d’azione intrapresa nelle varie zone d’Italia. Si consiglia di consultare il sito web del proprio Comune per ottenere informazioni specifiche e dettagliate, anche riguardo la documentazione da presentare in merito (che va redatta ogni anno).


    Scadenze


    Per quanto riguarda le scadenze per i pagamenti, ogni Comune ha le sue regole, in base ad una rateizzazione o a un pagamento unico, ma, in generale, sono tutte approssimabili intorno a queste date:


    Pagamento unico: 16/06/2017;

    Rata 1: 31/03/2017;

    Rata 2: 31/06/2017;

    Rata 3: 31/07/2017;

    Rata 4: 30/09/2017.


    Modalità di pagamento


    Sono molteplici le modalità di pagamento per la TARI.


    Sportelli postali con relativi bollettini forniti per posta dall’ente;

    Uffici TARI di ogni azienda di smaltimento dei rifiuti (accertarsi se accettano contanti perchè, di solito, evadono pagamenti solo con bancomat o carta di credito);

    Sportelli di Equitalia Centro S.p.a., portando con sè la documentazione arrivata a casa;

    Domiciliazione bancaria (anche su conto corrente postale);

    Online, su poste.it;

    Casse dei supermercati Coop (da verificare Comune per Comune);

    Modello F24 dell’Agenzia delle Entrate;

    Smartphone o tablet, con l’App delle Poste Italiane;

    Tabaccaio.

    In questo modo ognuno potrà effettuare i pagamenti nella maniera più personale e congeniale, potendo scegliere tra numerose opzioni.


    E per chi non paga?


    Può accadere di dimenticare di pagare una tassa oppure una sua rata o, ancora, che la comunicazione arrivi in ritardo a causa delle poste (in alcuni casi i cittadini hanno dovuto fare tutto da soli perchè la comunicazione è andata addirittura perduta).


    In questo caso niente paura perché, dopo un anno, arriva il primo avviso bonario. È solo dopo altri 6 mesi (quindi, in totale, dopo un anno e mezzo di ritardo) che arriva il primo avviso caricato con una mora (massimo fino al 30% dell’importo totale) e dopo altri 6 mesi (2 anni in tutto) che la pratica passa ad Equitalia.

Educazione ambientale

Stanziati nuovi fondi per l’educazione ambientale nelle scuole italiane

Raccolta differenziata, termovalorizzatore, rifiuti speciali: sono tante le parole entrate nel nostro linguaggio quotidiano a cui bisogna dare uno scopo ed un significato, per gli adulti ma anche, e soprattutto, per i bambini ed i ragazzi, che rappresentano la nostra eredità sulla terra ed il nostro futuro.

Ecco perchè è così importante che le nuove generazioni vengano educate sin da subito alla cura dell’ambiente, riuscendo a trasmettere quei valori e quelle abitudini che, forse, per alcuni adulti più maturi, sono concetti un po’ duri da metabolizzare e fare propri.
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    A questo scopo, la tanto chiacchierata Legge 107 sulla Buona Scuola qualcosa di positivo l’ha fatto davvero: ha previsto l’educazione ambientale a livello scolastico come principio guida, dal 2016 fino al 2020.


    Venti milioni di Euro a favore dell’educazione ambientale scolastica


    Il protocollo di intesa fra Ministero dell’Istruzione e Ministero dell’Ambiente, reso pubblico alla Conferenza Nazionale sull’Educazione Ambientale che si è tenuta alla fine del 2016 a Roma, ha previsto ben venti milioni di Euro per questa novità, espandendone il ruolo dalle scuole primarie fino alle superiori.


    Ma come è stato concepito questo inserimento all’interno della vita scolastica e della didattica?


    L’idea è stata quella di non trattare questo argomento come una vera e propria disciplina da suddividere in ore insieme alle altre materie, ma, piuttosto, come un tessuto di scambio tra docenti ed alunni che potesse equivalentemente fornire supporto, nozioni e informazioni.


    I fondi provengono dal Piano operativo nazionale (Pon) scuola e sono previsti, infatti, proprio per sovvenzionare la formazione degli insegnanti ed i progetti rivolti agli studenti. Una sorta di cammino a due, insomma, dove imparano tutti, con la supervisione del Ministero dell’Ambiente che ne gestisce i contenuti.

Rifiuti speciali

Che cosa sono e come vengono smaltiti i rifiuti speciali?

La Raccolta Differenziata, negli ultimi anni, sta educando ed insegnando molto ai cittadini e ai lavoratori.

Ma ci sono ambiti in cui non tutti sono ancora ferrati al 100%.

Ad esempio, cosa si intende, esattamente, per Rifiuti Speciali? Proviamo a vederci un po’ più chiaro.
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    Rifiuti Urbani e Speciali


    I rifiuti, per legge, vengono classificati in Urbani e Speciali, Pericolosi e Non Pericolosi.


    Se con i primi è facile avere più confidenza, perchè riguardano i materiali di scarto che provengono dalle nostre case, con i secondi è lecito avere più dubbi.


    È bene sapere che i Rifiuti Speciali sono tutti quelli che provengono da industrie e aziende, inclusi gli ospedali, le aziende agricole, gli scarti delle lavorazioni industriali o provenienti da attività commerciali e persino veicoli obsoleti. Ma non solo. Ci sono anche materiali che provengono dalle nostre abitazioni che sono considerati tali, come le batterie dei nostri smartphone o dei dispositivi portatili (Pc, Tablet, videogame), i farmaci scaduti, che vanno consegnati nei centri raccolta organizzati dalle farmacie, i toner per la stampante, le pile scariche, che vanno accumulate nelle cartolerie che esibiscono il contenitore apposito, ma anche l’olio utilizzato per la frittura (esistono aziende che li prelevano a domicilio per evitare la dispersione nell’ambiente) e vecchi elettrodomestici che, spesso, vengono ritirati gratuitamente alla consegna di quelli nuovi.


    Insomma, è facile rendersi conto che si parla di Rifiuti Speciali per intendere materiali potenzialmente dannosi per l’ambiente che, per essere smaltiti, richiedono un trattamento differente dai “soliti” Rifiuti Urbani.


    Il corretto smaltimento


    Se per i Rifiuti Urbani è la Pubblica Amministrazione ad occuparsi del corretto smaltimento, per i Rifiuti Speciali è necessaria la competenza di Aziende Private.


    Naturalmente, trattandosi di materiali di origini, composizioni, pericolosità e volumi differenti (basti pensare agli Ingombranti, che vengono ritirati da aziende specificamente addette, nei pressi del domicilio), ogni materiale di scarto speciale va trattato secondo procedure idonee differenti, pensate ad hoc.


    Inoltre, poichè si ha a che fare anche con sostanze potenzialmente dannose per l’ambiente e per la nostra stessa salute, questo tipo di rifiuti sono controllati e monitorati in tutte le fasi della loro gestione, dalla raccolta al trasporto e allo stoccaggio, finendo al trattamento, al recupero e allo smaltimento.


    Gli stessi impianti adibiti al trattamento dei Rifiuti Speciali vengono costruiti per rispondere a determinate esigenze e requisiti, per essere in piena regola, secondo la legge, e per preservare l’ambiente.


    Ad esempio, i Rifiuti Speciali Non Recuperabili vengono smaltiti in impianti di discarica controllata, continuamente monitorati, mentre i Rifiuti Sanitari Pericolosi possono essere trattati con la tecnica della Sterilizzazione a Vapore Umido, che “libera” il materiale dalla sua caratteristica d’essere infettivo.


    Il ruolo dei termovalorizzatori


    Ma non è tutto.


    Dal trattamento dei rifiuti molte città nel mondo e, da qualche tempo, anche italiane, stanno ricavando importanti quantità di energia da ridistribuire negli impianti stessi o, in qualche caso, addirittura nelle abitazioni civili, garantendo non solo rispetto dell’ambiente ma anche risparmi in termini di CO2 e di… portafoglio!


    La combustione controllata avviene all’interno di dispositivi creati ad hoc, chiamati termovalorizzatori, in grado di offrire smaltimento corretto ed efficace, costantemente monitorato, e un ottimo riciclo che fa bene al pianeta e a tutti i suoi abitanti!

Vieni a trovarci per saperne di più sullo smaltimento e trattamento di 
rifiuti solidi
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